SINDROME FEMORO-ROTULEA

sindrome-femoro-rotulea-fisicamente-gabriele-vanzetta-727x408

La sindrome femoro rotulea è una patologia relativamente frequente nell’ambito sportivo. La sua eziopatogenesi è essenzialmente riconducibile ad un malallineamento dell’articolazione del ginocchio, oppure ad una displasia a carico della rotula e/o della troclea femorale. La gonalgia anteriore che accompagna questa patologia, può rivelarsi altamente limitante nei confronti della pratica sportiva. In particolare, alcune discipline sportive, che prevedano dei piegamenti degli arti inferiori di una certa entità, come ad esempio la danza oppure il sollevamento pesi, possono contribuire, in atleti che posseggano una predispozione di tipo anatomico-funzionale, all’insorgenza della patologia.

La sindrome femoro-rotulea è costituita da un insieme di alterazioni morfofunzionali che determinano l’insorgenza di una gonalgia anteriore. Da un punto di vista eziopatologico le alterazioni che si possono ritrovare alla base della sindrome femoro-rotulea, sono essenzialmente riconducibili ad un malallineamento, oppure ad una displasia della rotula e/o della troclea femorale. Occorre comunque ricordare che le alterazioni funzionali delle strutture anatomiche sovra e sottostanti, come ad esempio le variazioni assiali o rotazionali dell’arto inferiore, oppure le alterazioni morfo-funzionali del piede, possono influire negativamente sulla meccanica dell’articolazione femoro-rotulea. Da un punto di vista anatomico, la rotula è un osso sesamoide, di forma grossolanamente triangolare, posta internamente al tendine del muscolo quadricipite. Meccanicamente la rotula, articolandosi con il solco trocleare del femore, costituisce il fulcro di tutto il meccanismo estensorio dell’arto inferiore. La rotula si trova a contatto con il femore a partire dai 15°-20° di flessione e sino alla flessione articolare completa (Insall e coll., 1983). Sia le superfici articolari della rotula stessa, che quelle del solco trocleare, sono rivestite da una cartilagine articolare spessa mediamente dai 4 ai 6 mm. I normali meccanismi di scorrimento dell’articolazione femoro-rotulea vengono controllati da fattori statici, ossia non contrattili e dinamici, ossia contrattili. I fattori statici sono costituiti dalle dimensioni della rotula, dei condili femorali e dalle loro dimensioni, dalla forma e dall’angolo del solco trocleare e dall’allineamento dell’arto inferiore. I principali stabilizzatori meccanici della rotula sono il muscolo vasto laterale (VL) ed il vasto mediale obliquo (VMO), porzione terminale del vasto mediale che si inserisce con un angolo di circa 55° sul bordo mediale della rotula (Brownstein e coll., 1985). Inoltre, il tratto ileo tibiale ed il capo corto del bicipite femorale, per la loro azione di controllo sulla rotazione tibiale , possono essere, a tutti gli effetti, considerati anch’essi degli stabilizzatori dinamici che concorrono al controllo dell’angolo Q (Kettelkamp, 1981). Nell’ambito della sindrome femoro-rotulea, la biomeccanica articolare riveste un ruolo fondamentale. Infatti, un’anormalità di forma e/o di posizione della rotula stessa, ha una ricaduta diretta sulla sua funzionalità, determinandone un alterato scorrimento nel solco trocleare. Un cattivo scorrimento rotuleo può portare ad un’alterazione cartilaginea comunemente riferita come condrosi od artrosi, la cui eziologia è da ricondursi all’azione di forze compressive non adeguatamente ripartite sull’intera superficie dell’articolazione femoro-rotulea stessa. Un aumento dell’ampiezza dei movimenti in flessione del ginocchio, come richiesto da molte attività ludico-sportive, aumentando l’entità delle forze di compressione a livello femoro-rotuleo, può causare un’alterazione della superficie articolare, riscontrabile anche in individui giovani.

La sindrome femoro-rotulea, di cui si riscontra una maggior incidenza nella popolazione femminile rispetto a quella maschile, è caratterizzata da dolore costante nella parte anteriore dell’articolazione del ginocchio. Talvolta si può verificare uno pseudo-blocco articolare di natura antalgica. L’ampiezza di movimento risulta comunque, nella maggior parte ridotta, a questo si associa un’importante ipotonotrofia del muscolo quadricipite. Nel processo di cronicizzazione possono essere coinvolte le strutture molli articolari come il tendine rotuleo, la borsa sovrapatellare, prepatellare ed anserina, il cuscinetto adiposo infrarotuleo, i retinacoli mediale e laterale, le pliche mediale, laterale e superiore, il nervo safeno a livello del tubercolo degli adduttori od al tendine della zampa d’oca (Roels e coll., 1978; Patel, 1986). Spesso il gonfiore è localizzato nell’area del recesso sovrarotuleo ed è dovuto ad infiammazione del tessuto sinoviale, della borsa sovrarotulea e del cuscinetto adiposo sovrarotuleo. Frequentemente si verificano episodi di cedimento essenzialmente imputabili ad inibizione muscolare secondaria a dolore e/o edema articolare (Brownstein e coll., 1985; Kennedy e coll., 1982). Durante alcune attività, come ad esempio il salire o lo scendere le scale, il paziente può percepire una sensazione di scroscio e crepitio, non sempre associata a sintomatologia dolorosa. Generalmente camminare in salita provoca meno dolore di quanto non si provi camminando in discesa, questo è dovuto al fatto che il ginocchio sotto carico in salita, raggiunge un angolazione pari a circa 50°, mentre in discesa l’angolo di flessione raggiunge circa gli 80° . Tipico è il cosiddetto “segno del cinema”, ossia la sintomatologia dolorosa che il paziente percepisce nella parte anteriore dell’articolazione del ginocchio, dopo aver mantenuto quest’ultimo in posizione flessa per un tempo piuttosto prolungato. All’esame clinico si evoca dolore richiedendo una contrazione isometrica, contro resistenza, in un range compreso tra 0 e 20° di flessione. Inoltre, nell’ambito di un’instabilità di II° grado, il test di apprensione risulta positivo. La radiografia convenzionale, effettuata in diversi angoli di flessione del ginocchio e soprattutto la RM, confermano la diagnosi clinica.

Nella fase acuta il trattamento conservativo deve essere essenzialmente rivolto alla diminuzione del dolore ed alla ripresa di una normale funzionalità articolare. Crioterapia, TECAR e laser costituiscono le terapie strumentali maggiormente adatte a questo scopo. Parallelamente può essere iniziato un programma di rinforzamento selettivo, tramite ES del VMO, muscolo che si rivela essenziale nel controllo dell’allineamento rotuleo (Grabiner e coll., 1986; Williams e coll., 1986). L’atleta deve, ovviamente, interrompere tutte quelle attività che scatenano la sintomatologia dolorosa. L’utilizzo di un taping e/o di un tutore medializzante, può essere di grande aiuto nella riduzione del dolore. Una volta risolta la fase acuta, la seconda parte del trattamento deve essere basata sul rinforzo selettivo del VMO e sulla detensione del VL e degli ischiocrurali. Durante le esercitazioni per la muscolatura estensoria effettuate in CKC, occorre limitare la flessione articolare per evitare di provocare un eccessiva pressione sull’articolazione femoro-rotulea.

fonte: http://www.kinemovecenter.it/guida-alla-patologia/ginocchio/non-traumatiche/sindrome-femoro-rotulea/